mercoledì 17 dicembre 2014

Nostalgia di un Capodanno trasgressivo






Il mio Capodanno più trasgressivo l'ho trascorso con mio padre. Ero in quel periodo della mia vita in cui da bambina stavo per diventare donna e la qualcosa mi infastidiva parecchio. Come da tradizione, il 31 dicembre eravamo tutti a cena dai nonni Cola e Tatà. L'adunata non prevedeva sconti: allestivamo una tavola con una quarantina di commensali, ci mettevamo su chissà quante bottiglie di Coca cola e di vino Porto Palo e poi un reggimento di antipasti anni '90, insalate russe, involtini di prosciutto, piccoli  e salatissimi bretzlen e ritagli di salmone affumicato, con un saporaccio che li rendeva immangiabili. Il cenone di san Silvestro era "spicciolo", giusto un paio di cose per accomodare, in vista del pranzo dell'indomani: sfincioni, arancine, calzoni alla palemitana e poi appena un assaggio di frittura mista di carne. Dicevo di quella sera di san Silvestro, subito dopo mangiato mio padre mi fece l'occhiolino e mi propose di uscire, così di soppiatto, senza scomodare la platea di parenti che stava facendo un augurale giro di tombola. Ci infilammo nella 126 bordeaux, mettendoci al riparo dalla nuvola di freddo che avvolgeva Casteltermini. L'autoradio ci bombardava di canzoni di Natale, tristissime quando il Natale è già passato. Decidemmo di centellinare tutto il paese e di farlo con devozione, talmente bello ci apparve in quella notte, che gli restituiva silenzio, immobilità e aria di sereno. All'epoca Casteltermini era un paese con i battiti del cuore al proprio posto. C'erano i negozi, il lavoro, i bambini, i giovani ed i vecchi. In queste giornate di festa, la piazza e i due corsi principali pullulavano di gente, con essi anche le insegne storiche: l'emporio Cordaro, Ardilio, la merceria di "u zzi Natale" e quella della "zza Graziedda". I due principali negozi di abbigliamento, Galione ed i fratelli d'Acquisto, in quel periodo erano ancora più in forma del solito. Grondavano di forestieri borghesi, che andavano a comprare giacconi, pellicciotti ed abiti da sera, in vista dei veglioni e delle gale dicembrine. Ricordo anche le file monumentali nelle pasticcerie dei fratelli Capodici. Per comprare "le cuddureddi", i bignè e le "sfingi d'ova" bisognava armarsi di santa pazienza e stazionare tra via Roma e corso Umberto per una buona mezzora. Ti intrattenevano i modi suadenti dei fratelli Capodici, del compianto Mario e di Enzo, simili in quel loro sguardo azzurro, che però guizzava in maniera differente.

In quel dopocena da ultimo dell'anno, il sipario del mio paese si chiudeva alla folla delle feste e si apriva solo a me e a mio padre. Eravamo gli unici in circolazione, in un quell'aria fumigante che usciva dalle case, dove tutti festeggiavano, qualcuno lanciava petardi e c'era anche qualche irriducibile scaramantico, che scaravanteva dalla finestra piccoli oggetti del tempo che fu. Con papà quella sera gustammo ogni centimetro del nostro paese, ci sembrò quasi di sentirne i rumori più profondi, dentro quel silenzio che rendeva chiara ogni cosa. Improvvisammo un gioco: osservando le finestre accese e i portoni addobbati, tentammo di immaginare le vite che vi abitavano dentro. Dai pochi indizi che uscivano, dal tenore delle luci, dalla maestosità degli alberi di Natale e dalle ombre proiettate verso l'esterno, costruimmo storie di famiglie opulente, alternate a vicissitudini di povera gente, che a tavola avrebbe messo un po' di niente, cercando di essere felice ugualmente. Chè a Natale e a Capodanno di essere infelici non è concesso. Mai! Poi andammo a casa dei nonni Stella e Raffaele, a sant'Anna. I nonni erano partiti da un paio d'anni (in pochi mesi di distanza l'uno dall'altra mi avevano lasciata e io mi ero parecchio offesa :-) ma quella casetta, nel cuore del paese, conservava ogni cosa di loro. Era tutto in ordine, in un nido che per decenni e decenni conservò l'amore di una coppia inossidabile, malgrado le arie cagionevoli della vita. Lì, sul vecchio giradischi, facemmo girare un disco di Mina e quando arrivò mezzanotte brindammo con l'amaro del Carabiniere, l'unica cosa alcolica trovata per casa. Poi sfogliammo vecchie riviste, ascoltammo musica e commentammo la vita, i disordini, financo un reportage, pubblicato da Gente, su Gianfraco Jannuzzo e Gabriella Carlucci (credo che all'epoca fossero compagni di vita). Intanto nell'altra casa, quella dei nonni Cola e Tatà i quaranta commensali continuavano il loro Capodanno e non so se si siano accorti o meno della nostra assenza. All'epoca non esistavano i telefoni cellulari, internet era un miraggio e ti potevi prendere il lusso di essere irrintracciabile, solo perchè per una volta ne avevi avuto voglia. Quella sera mi sembrò un regalo, un ritaglio di felicità dentro le solite cose da fare per forza. La ricordo con nitidezza, come se fosse stato appena ieri ed invece di tempo ne è passato, eccome. Questa casella del mio Avvento la dedico alle piccole cose, quelle che fai d'impulso con le persone che ami. Alla fortuna di saperle cogliere e alla speranza di poterle rivivere.

Nessun commento:

Posta un commento