martedì 2 dicembre 2014

E anche se non fosse stato Natale ti avrei amata uguale...





Seppure con un giorno di ritardo, anche io voglio cominciare il mio calendario dell'Avvento. Odio dicembre per almeno un paio di buoni motivi. Nata sotto il segno del cancro, sono ipersensibile, la presa d'atto di una falsità mi lancia nello sconforto, sono crepuscolare per natura, adoro i film strappalacrime, le epopee spaccacuore di Garcia Marquez, le ballad "pallosissime" di Carmen Consoli e la mia canzone di Natale preferita è "Canzone per Natale" di Morgan (lenta, mielosa, tristissima...e vi ho detto tutto). Capirete quanto possano "ammalinconirmi" le lucine, gli abeti sparsi a macchia d'olio, le carole natalizie e quel "volemose bene" propinato a destra e a sinistra, manco fosse il segno della pace durante una messa solenne a piazza san Pietro. Eppure c'è stato un periodo della mia vita in cui dicembre mi faceva sentire esattamente felice.

Era da piccola, quando con i miei genitori vivevamo di quattro soldi, dividendoci tra una stanza in una pensioncina di Messina e un appartamentino nella parte antica di Casteltermini. Il Natale arrivava senza chiedere il permesso e io non dovevo far sforzi per renderlo indimenticabile. Avevamo un albero "sgarrupato" come lo era il conto in banca dei miei e come lo erano i regalini che vi trovavo sotto. Era sempre un po' sbilenco, tendeva a sinistra (in contrapposizione con le idee politiche di famiglia, decisamente centriste). Per tenerlo in piedi vi piantavamo dietro un manico di scopa, che mamma copriva di velina verde, giusto per dare un effetto mimetico. Lo vestivamo di palline multicolor, un po' gialle, un po' arancio, un po' verdi e ancora viola, rosse e dorate. Era tascio quell'albero di Natale, in un'epoca in cui andava già di moda il "tutto bianco e oro", "io l'albero lo faccio di quello 'vero', solo con le lucine trasparenti e i fili rossi, che rosso è il colore del Natale" o "quest'anno il blu elettrico fa tanto glam". Avevo già qualche compagna di scuola piccolo borghese, che a Natale inaugurava l'Avvento con stanze addobbate di tutto punto, in tema per colori e foggia dei decori (in bagno era il trionfo: lucine a incorniciate lo specchio e intoccabili asciugamani di lino rosso con tanto di abeti applicati a filet). "Se dovete asciugarvi le manine - intimava la mamma dell'amichetta, prima che entrassimo al gabinetto - usate l'asciugamano di spugna sotto il lavandino". E io invece usavo quello di lino, che se era appeso a qualcosa doveva pur servire!

C'era poi il mio presepe, dove i "pupi" avevano tutti proporzioni diverse. C'era un san Giuseppe alto la metà della Vergine e i re Magi "a bordo" di Camelli grandi quanto i pavoni (che poi, 'sti pavoni nel presepe, cosa mi signficano?). Il personaggio più bello era un pastore di cartapesta, che ogni anno riponevamo con la devozione, che si riserva a un oggetto prezioso. Quel "pupo" era di mia madre, da bambina lo aveva "preso in prestito" dal presepe di una sua compagna "piccolo borghese" (ammesso che di piccola borghesia possa parlarsi in un paesino come Casteltermini, dove il 99% degli abitanti è vissuto sottoterra a cavar zolfo). Quella statuina esiste ancora ed è sempre la più bella di tutti i presepi, che in questi anni hanno accompagnato i nostri Natale.

Il cenone della vigilia mi commuoveva. Da piccola lo festeggiavamo quasi sempre a casa dei nonni Stella e Raffaele. Papà, da buon figlio unico, desiderava a tutti i costi che la tradizione si rispettasse (io toccavo il cielo con un dito. Con il senno di poi, penso che mia madre non fosse altrettanto entusiasta, ma questa è un'altra storia :-)

C'era nell'aria un odore che ricordo ancora e se mi capita di inciamparvi mi fa venire i lucciconi.

Era profumo di cardi fritti, polpette cariche di pecorino e menta, "brusciuluni" al sugo.

Al tempo, almeno per noi, non esisteva il salmone, il tris d'affumicati, i vol au vent, la tartare, o i panettoni gastronomici farciti di patè de fois gras. Diavolerie conosciute solo molto tempo dopo. Ogni cosa era perfetta: dalla tovaglia usa e getta di carta rosso-brillantinata, ai bicchieri di plastica con stampato il faccione di babbo Natale con gran finale di tovaglioli di velina, con le stelle di Natale e gli agrifogli (nonna Stella faceva scorta da Rosetta la "putiara", un'adorabile signorina dall'età indefinibile, con una montagna di riccioli corvini e un sorriso largo e perennemente installato tra le labbra e gli occhi).

Per creare l'atmosfera, cercavamo in tv un film di Natale. Il mio preferito era "Il principe e il povero". Non so so perchè quella pellicola mi riempisse il cuore al punto da farmi sentire migliore. Dai nonni non c'era nè l'abete nè il presepe, eppure lì il calore del Natale si sentiva come in un alcun altro posto al mondo. Concludevamo il cenone con la "pignolata" e con lo spumantino fatto dal nonno. E io volevo che quella serata non finisse mai, che durasse per sempre, che per tutta la vita fosse la vigilia di Natale. Ero al sicuro, con il cuore al caldo e la mente in pace...ed era davvero Natale.

Ps: Se vi va di leggere questo post ascoltando in sottofondo la canzone di Morgan (giusto per "attassarvi" un po' di più) la linko di seguito
https://www.youtube.com/watch?v=h5K_ntt9InU.

C'è una frase che adoro in questo brano: "C'è il temporale e anche se non fosse stato Natale, ti avrei amata uguale". Sarà che sono nata sotto il segno del cancro, ma il mio dispensare amore o i suoi opposti non subisce (quasi) mai mutazioni genetiche. Neppure a Natale. Morale della favola: chi mi sta sui cosiddetti tutto l'anno, a Natale "mi ci sta" ancora di più! Che se mi stai lassù da sempre, perchè mai devo essere così ipocrita da amarti  giusto giusto a Natale? Mah, sarà anche per questo che odio il mese di dicembre :-) ;-)

 

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