martedì 23 dicembre 2014

Lettera d'amore


Voglio dedicare questa penultima casella del mio calendario a un uomo che non ho conosciuto personalmente, ma che tante volte ho "creduto di avere accanto". E' un maestro del giornalismo e mi ha insegnato ad amare quelle condizioni del mio mestiere che lo elevano al punto, da ripulirlo da tanto cattivo fare notizia. Scrivo di Enzo Biagi e voglio farlo ricordando il suo libro che amo di più, Lettera d'amore e una ragazza di una volta. Se avrete la pazienza, tra queste righe, volevo riproporvi una tesina, presentata lo scorso anno per il mio esame di idoneità professionale a Roma. L'esame fu scivoloso, inciampai parecchio e rischiai anche di non farcela. Biagi e le righe che gli avevo dedicato mi portarono bene. Decisi quel giorno di visitare il borgo dove il maestro era nato. Pianaccio: una modesta somma di case, incastonate nell'altopiano tosco-emiliano. Nell'impresa, la primavera scorsa, mi accompagnò Alessandro. Volevo vedere la gente di Pianaccio, sentire parlare di Biagi da chi lo aveva conosciuto, chè nei piccoli paesi, tra i parecchi vizi, c'è la virtù della compattezza. Arrivi nei borghi e se cerchi qualcuno, vivo o morto che sia, te lo fanno trovare. Il viaggio fu estenuante, attraversammo Pistoia e da lì ci inerpicammo tra la compagine di paesini bolognesi, di cui sconoscevo l'esistenza, sebbene io a Bologna abbia vissuto per un anno intero. Lambimmo pure il comune di Zocca, terra natale di un altro grande, il Blasco della nostra musica. E li non ho potuto non chiedermi come siano riusciti Vasco ed Enzo, sebbene a  latitudini umane, anagrafiche e professionali differenti, a venir fuori da quelle montagne e a puntare alla cima più alta dei loro sogni. Devono essere stati non solo bravi, ma parecchio tenaci, che in certi borghi la vita pare che si fermi e se non hai la forza di cavartene fuori, fai assopire sogni e desideri per sempre. Nel viaggio inciampammo in ruscelli, fiumi e vallate talmente in fiore, che per un attimo mi sembrò di trovarmi alle Serre, giù in Sicilia. Poi arrivammo alla meta. Pianaccio non era per nulla come l'avevo immaginata. Un paesino sì piccolo, ma coronato da certi comfort, che mi hanno fatto pensare che la Sicilia, ahinoi, sognerà per sempre di diventare italiana. Iniziammo a chiedere a destra e a manca e non c'era giovane, vecchio o adolescente che non avesse elogi per Biagi e per tutta la sua stirpe. Con le adorabili "s" pizzicate degli emiliani, ci accomodammo ad ascoltare aneddoti, a ricevere inviti alle commemorazioni del maestro e ci fu pure una tizia più audace, che, in un bigliettino, mi allungò numero di telefono e indirizzo di posta elettronica di una delle figlie di Biagi. Al cimitero non potei andare, perchè una frana aveva bloccato gli accessi. Mi piacque però di respirare l'aria del borgo, dove è nato il mio inarrivabile riferimento professionale. Ho compreso che l'essere provinciali, talvolta, è un privilegio, che irrobustisce i sogni, ma allo stesso tempo aiuta a non volare troppo alto, quantomeno finchè il decollo non è stato. completato. Ho immaginato Enzo e sua moglie Lucia innamorarsi, in quella festa di provincia di cui si parla nel libro. Ho tentato di rivedere quella maestrina con il golf a righe e una bella faccia pulita - come lui la descrive - a cui il maestro diede ogni cosa. E ho ripercorso quelle pagine che, ogni volta che le leggo, mi fanno commuovere, sentire piccina, desiderosa di essere migliore. Ci sono un paio di frasi che mi si sono incollate al cuore: L'avere nella gioventù la sola loro fortuna, per esempio. E penso che oggi delle proprie fortune non ci si rende mai conto per tempo. Poi la descrizione di quel matrimonio, celebrato nel bel mezzo del conflitto mondiale, festeggiato nel cuore dell'altopiano, con una torta fatta in casa e i battimani di una ventina di invitati. "Anche se intorno c'era la guerra, la povertà e la disperazione, quello fu il giorno più felice della mia vita". Questa frase, che letta d'un fiato può sembrare retorica, è una delle frasi lette che amo di più, nella mia mente a volte la contemplo. Che oggi per essere davvero felici è necessaria una somma di felicità. Altro che "inciampi" di guerra, povertà e disperazione. Oggi per far naufragare un proposito é sufficiente un accento fuor posto. Che di questi tempi la felicità è una ricerca, che se soddisfatta sopisce appena il languore di un attimo. E allora io immagino quel matrimonio, con tanto sole in faccia e un prato verde a far da scena. I vestiti fatti in casa, i brindisi e il lambrusco suadente e traditore. Sorrido e penso che se oggi di maestri così non ne esistono più la colpa è di tante cose. Della monotonia intellettuale, dei compromessi, della malapolitica, ma anche della felicità...che ce l'abbiamo in tasca ma poi la nascondiamo chissà dove e va così. Che un buon maestro deve anche sapere essere felice.
Ps: Alla fine vi ho risparmiato la manfrina della mia tesina
Ps 2: Alla figlia di Enzo Biagi, Bice, giornalista e direttrice di giornale, non ho mai telefonato. Non mi sarei mai spinta a tanto. Le ho però spedito una email, allegandole il mio elaborato. Lei rispose nel giro di poco e mi colpiì un suo augurio: "Cara Maristella, ti auguro di far bene prima che nel mestiere di giornalista, in quello di donna".
Questa casella è per te maestro Enzo!

Nessun commento:

Posta un commento