giovedì 18 dicembre 2014
In sala operatoria? Ho pensato al mare
Entrare in sala operatoria? E' un occorrenza metafisica. Almeno per me lo è stato. Mi è successo tempo fa, per causa di una "robetta", come mi disse il medico nordico, che scelsi per operarmi. Nulla di trascendentale, solo un "pezzo" di troppo del mio corpo che andava rimosso. Eppure per fare quel passo, per prendere la rincorsa, considerata l'assenza d'urgenza, ci ho messo parecchio. Ho congetturato, studiato i pro ed i contro, mi sono relazionata con decine di medici e ho fatto appello a chissà quanti siti web interattivi in tema di chirurgia. Poi ho deciso. Ho confezionato ad arte una lettera e l'ho inviata in Veneto a uno specialista, il cui curriculum mi aveva convinta più delle decine di altri scrutati qua e là. Il medico, tempo una decina di giorni, mi rispose e fu un tutt'uno trovarmi con una data davanti e una fifa bestiale a scalpitarmi furiosa in petto. Inutile elencarvi le notti insonni, i cattivi pensieri e quanto mi marciava in testa in quei quindici giorni che mi separavano dall'ora X. Facevo ogni cosa come se fosse per l'ultima volta (esagerata, sì, lo ammetto. Ma sono una ipocondriaca storica, che posso farci). Ricordo ogni cosa di quel giorno, dal prericovero, con la neve alta alta, gli infermieri che offrivano tazze di the al limone e una cardiologa con le gote rosse e il sedere immenso, che mi installava i marchingegni per l'elettrocardiogramma. Poi l'attesa del grande giorno e io che la notte prima, convinta che dovesse essere l'ultima a mia disposizione, ascoltai a palla un' improvvisata platinum collection della Pausini. Poi la sala chiarissima, con gli infermieri e gli anestesisti vestiti di verde, io sdraiata sul lettino con gli occhi di un cane bastonato, l'odore penetrante, che tutti conosciamo, ma il cui nome è un mistero. Ha il sentore dell' ospedale, della paura, del vaccino quando hai cinque anni, della sala d'attesa del dentista, delle cose che "non vedi l'ora che passino". Poi arrivò il chirurgo, Riccardo. E' un abruzzese trapiantato al nord, con un faccione enorme, un sorriso ampio, che parte dalla bocca e gli accende il naso, gli zigomi fino ad arrivare al tripudio degli occhi (di questi sorrisi tendo a fidarmi, perchè si concedono del tutto). Una folta barba bianca e quelle maniche cortissime, malgrado fuori ci fosse il gelo. "Stellina", sibilò suadente, mentre il tic toc dei miei denti, delle ginocchia e delle braccia era un'orchestra per sole percussioni. "Stellina, hai paura vero?".
Nessuno mi chiama Stellina, tutti preferiscono Mari, Mariù, Marì, financo Marinù. Stellina si chiamava mia nonna, di cui in parte ho ereditato il nome. Ricordo ancora nonno Raffaele: "Stellì, Stellì", quanto la amava!
Riuscii solo a rispondergli con gli occhi e lui mi disse:
"Stellina, sei siciliana. Che fortuna la tua. Sai che ti dico, mentre ti addormentiamo pensa al mare...e quando torni a casa vai a ringraziare il tuo mare".
Poi ci guardammo negli occhi. Credo che in sala operatoria ci sia un istante irripetibile, che solo il chirurgo e il suo paziente possono comprendere. E' l'istante prima di tutto il resto, quello in cui il paziente affida del tutto la propria vita nelle mani di un'altra persona. E' una sensazione scivolosa, che ti prescrive di fidarti del tutto. E fidarsi del tutto è una delle imprese più alte a cui ci chiama la vita. Richiede buon senso, capacità di essere liberi e anche una "pizzicata" di follia. Mi addormentai e capitombolai in un limbo bellissimo, luminoso, perfetto, con ogni casella del mio corpo e della mia mente messa nel posto giusto. Mi risvegliarono le note di "Canzone" di Lucio Dalla. Lì per lì pensai di essere morta e di trovarmi in un angolo di paradiso riservato ai cantanti "fighi" e ai giornalisti free lance, pensai anche che da lì a poco mi si sarebbe materializzato davanti il palco di Sanremo. A portarmi con i piedi sulla terra fu Riccardo, il dottore. "Stellina!". Lo disse con dolcezza, ma al contempo mi piantò un ceffone in faccia, che ancora lo ricordo per quanto fu energico.
"Vedi non sei morta...sei ancora qui. Vai là Stellina, vai fuori che la vita è bella".
Gli sorrisi e pensai che quell'istante fosse uno dei più belli della mia vita. Tornare, dopo che qualcosa dentro di noi si è bloccato, è un privilegio immenso. Negli istanti che seguono il risveglio ti riprometti di cacciar via i tuoi peggiori difetti, di mettere in pratica i troppi buoni propositi, di solito giacenti nelle cantine dell'anima, di abbracciare e abbracciare ancora tutte le persone che ami, così come viene, senza filtri, nè imbarazzi, spinti solo dalle bizzarrie dell'amore. Poi però la vita torna al proprio posto, con i suoi clichè, le frasi incomplete e i soliti irriducibili sbagli. Quel giorno però mi insegnò parecchie cose e questa casellina del mio Avvento voglio dedicarla al dottor Riccardo, perchè mi ha sorriso, perchè mi ha chiamata "Stellina", ma soprattutto perchè mi ha detto: "pensa al mare".
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