Ci sono tutte le mamme possibili in “Nove lune e mezza”. Quando diciamo mamme, non parliamo solo di quelle biologiche, anzi! Nel film si
muove un universo complesso, guarda caso declinato al femminile, dove il
confine tra la gioia ed i suoi tanti opposti è sfumato e ben mediato da un’ottima
porzione di comicità. C’è chi mamma lo è, chi vorrebbe esserlo, chi potrebbe ma
non vuole, chi si è stancato di fare ancora figli. Una pellicola che, tra
risate e qualche lacrima, racconta sogni, drammi e belle speranze di questo
tempo. La maternità la fa da padrona e si interseca nelle vite di due sorelle, Livia
- una Claudia Gerini tutta fascino, larghe vedute e voglia di libertà – e Tina
– Michela Andreozzi – vigilessa né bella né brutta, eterna compagna, mai sposa,
di Gianni (Lillo di Lillo e Greg), collega pressappochista e con una sola,
insopportabile, passione: il calcio.
Modesta, detta Tina, chiede alla vita di uscire
dal destino, che il suo nome pare averle cucito addosso. Desidera dalla sorte
“un solo regalo”: diventare madre. Per lei però la strada è tutta in salita e
l’orologio biologico le batte le ore contro. Dall’altra parte c’è la sorella
Livia, che potrebbe, se solo volesse…ma appunto non vuole proprio saperne di
fare un figlio. La musica (Livia è violoncellista) e il compagno Fabio le
bastano e poco la impegnano. Di mezzo però c’è un ginecologo che diventa il
deus ex machina della situazione. È un tipo ingombrante, vuoi per la mole vuoi
per lo zelo, che mette nel convincere la più procace delle sorelle a fare
“un’opera di bene”. Ed è così che Livia, alias Claudia Gerini, compagna di
Fabio – Giorgio Pasotti – osteopata fin troppo dolce e tollerante – decide di
prestarsi per la gravidanza della sorella. Non un utero in affitto, quanto un
più generoso prestito, al fine di fare felice la sorellina “calimera”, che alla
soglia dei quaranta ha passato il tempo ad accontentarsi di quanto “passava il
convento”. Il tema è spinoso, ma affrontato con quella leggerezza di peso, che
fa di questa commedia una bella pellicola, che si vede d’un fiato, tra qualche
grassa risate e una lacrimuccia qua e là. La colonna sonora, con una ninna
nanna che trascina tra ricordi e malinconia, fa il resto. Dietro la camera da
presa esordisce proprio la Andreozzi, che dà una buona prova di regia. Il
racconto non è retorico, anzi, frizza di belle battute e smonta tanti cliché.
Il cast di comprimari, con Claudia Potenza, Alessandro Tiberi, Massimiliano
Vado, fa la sua bella figura. Nel racconto principale se ne installano tanti
altri: c’è la coppia gay, con isterismi tutti femminili, disegnati con tratto
esilarante. C’è il fratello bigotto, che, tra un’Ave Maria ed un Pater noster,
costringe la povera moglie a fare un figlio all’anno. Ci sono i genitori
anziani, gente del sud, cuore ampio e cervello aperto. Fa da sfondo Roma, con
le sue terrazze vista Vaticano, i soppalchi, la gente piaciona ed i temporali
improvvisi. Nell’anima del film il sogno di tante donne, che vorrebbero a tutti
i costi un figlio, ma che non possono vuoi perché non è più il tempo, vuoi
perché le soluzioni non sono a portata di salvadanaio. La maternità surrogata è
affrontata con comicità, adempiuta grazie a un piano genuinamente “criminale”.
In Italia ricorrere a una madre in affitto è un reato punito con sanzioni fino
a un milione di euro. Nel film però la cosa assume il tono farsesco del tutto è
possibile, se solo lo si vuole e se si ricorre a un paio di mezzucci “all’italiana”.
Il film sta andando bene al botteghino, ed è facile capire il perché. Da mamma
sfido a trovare una “collega” che non si rivedrà nelle avventure di Gerini e
compagni. Da mamma “leggermente attempata” mi sono calata il doppio nella
vicenda. La maternità è un dono, forse è il dono. Ma questo regalo della vita,
oggi più di ieri, per molte è una montagna russa. Ci si pensa tardi, quando ci
si pensa iniziano i problemi: medici su medici, speranze appese ai verdetti del
luminare di turno ed ancora esami (alcuni assai imbarazzanti) e in mezzo tante “strisciate”
di bancomat. Poi, se si è fortunate, il sogno diventa realtà e lì comincia il
bello. Un figlio, quando lo desideri ardentemente, pare debba somigliare a
Cicciobello. Lui algido nella sua cameretta infiocchettata, la mamma, eterea
come una ninfa, a cantare ninna nanne e a ricamare bavaglini. Così non è. Of
course. Anzi. La maternità è come un’altalena, arranchi, prendi la rincorsa,
subisci il vuoto d’aria e poi la meraviglia del lancio verso il cielo.
Come recita una battuta del film: un figlio è il solo
impegno a tempo indeterminato che ti concede la vita. Impegno del quale possono essere all’altezza
sì le mamme biologiche, ma anche quelle mamme che lo sono di fatto, perché capaci
di accudire, sostituire, essere vicarie e lasciar spazio a tempo debito. Che
dire ancora, vi consigliamo di andare al cinema…Nove lune e mezza!
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