venerdì 20 ottobre 2017

Tutte le mamme di Nove lune e mezza




Ci sono tutte le mamme possibili in “Nove lune e mezza”. Quando diciamo mamme, non parliamo solo di quelle biologiche, anzi! Nel film si muove un universo complesso, guarda caso declinato al femminile, dove il confine tra la gioia ed i suoi tanti opposti è sfumato e ben mediato da un’ottima porzione di comicità. C’è chi mamma lo è, chi vorrebbe esserlo, chi potrebbe ma non vuole, chi si è stancato di fare ancora figli. Una pellicola che, tra risate e qualche lacrima, racconta sogni, drammi e belle speranze di questo tempo. La maternità la fa da padrona e si interseca nelle vite di due sorelle, Livia - una Claudia Gerini tutta fascino, larghe vedute e voglia di libertà – e Tina – Michela Andreozzi – vigilessa né bella né brutta, eterna compagna, mai sposa, di Gianni (Lillo di Lillo e Greg), collega pressappochista e con una sola, insopportabile, passione: il calcio.
Modesta, detta Tina, chiede alla vita di uscire dal destino, che il suo nome pare averle cucito addosso. Desidera dalla sorte “un solo regalo”: diventare madre. Per lei però la strada è tutta in salita e l’orologio biologico le batte le ore contro. Dall’altra parte c’è la sorella Livia, che potrebbe, se solo volesse…ma appunto non vuole proprio saperne di fare un figlio. La musica (Livia è violoncellista) e il compagno Fabio le bastano e poco la impegnano. Di mezzo però c’è un ginecologo che diventa il deus ex machina della situazione. È un tipo ingombrante, vuoi per la mole vuoi per lo zelo, che mette nel convincere la più procace delle sorelle a fare “un’opera di bene”. Ed è così che Livia, alias Claudia Gerini, compagna di Fabio – Giorgio Pasotti – osteopata fin troppo dolce e tollerante – decide di prestarsi per la gravidanza della sorella. Non un utero in affitto, quanto un più generoso prestito, al fine di fare felice la sorellina “calimera”, che alla soglia dei quaranta ha passato il tempo ad accontentarsi di quanto “passava il convento”. Il tema è spinoso, ma affrontato con quella leggerezza di peso, che fa di questa commedia una bella pellicola, che si vede d’un fiato, tra qualche grassa risate e una lacrimuccia qua e là. La colonna sonora, con una ninna nanna che trascina tra ricordi e malinconia, fa il resto. Dietro la camera da presa esordisce proprio la Andreozzi, che dà una buona prova di regia. Il racconto non è retorico, anzi, frizza di belle battute e smonta tanti cliché. Il cast di comprimari, con Claudia Potenza, Alessandro Tiberi, Massimiliano Vado, fa la sua bella figura. Nel racconto principale se ne installano tanti altri: c’è la coppia gay, con isterismi tutti femminili, disegnati con tratto esilarante. C’è il fratello bigotto, che, tra un’Ave Maria ed un Pater noster, costringe la povera moglie a fare un figlio all’anno. Ci sono i genitori anziani, gente del sud, cuore ampio e cervello aperto. Fa da sfondo Roma, con le sue terrazze vista Vaticano, i soppalchi, la gente piaciona ed i temporali improvvisi. Nell’anima del film il sogno di tante donne, che vorrebbero a tutti i costi un figlio, ma che non possono vuoi perché non è più il tempo, vuoi perché le soluzioni non sono a portata di salvadanaio. La maternità surrogata è affrontata con comicità, adempiuta grazie a un piano genuinamente “criminale”. In Italia ricorrere a una madre in affitto è un reato punito con sanzioni fino a un milione di euro. Nel film però la cosa assume il tono farsesco del tutto è possibile, se solo lo si vuole e se si ricorre a un paio di mezzucci “all’italiana”. Il film sta andando bene al botteghino, ed è facile capire il perché. Da mamma sfido a trovare una “collega” che non si rivedrà nelle avventure di Gerini e compagni. Da mamma “leggermente attempata” mi sono calata il doppio nella vicenda. La maternità è un dono, forse è il dono. Ma questo regalo della vita, oggi più di ieri, per molte è una montagna russa. Ci si pensa tardi, quando ci si pensa iniziano i problemi: medici su medici, speranze appese ai verdetti del luminare di turno ed ancora esami (alcuni assai imbarazzanti) e in mezzo tante “strisciate” di bancomat. Poi, se si è fortunate, il sogno diventa realtà e lì comincia il bello. Un figlio, quando lo desideri ardentemente, pare debba somigliare a Cicciobello. Lui algido nella sua cameretta infiocchettata, la mamma, eterea come una ninfa, a cantare ninna nanne e a ricamare bavaglini. Così non è. Of course. Anzi. La maternità è come un’altalena, arranchi, prendi la rincorsa, subisci il vuoto d’aria e poi la meraviglia del lancio verso il cielo.

Come recita una battuta del film: un figlio è il solo impegno a tempo indeterminato che ti concede la vita.  Impegno del quale possono essere all’altezza sì le mamme biologiche, ma anche quelle mamme che lo sono di fatto, perché capaci di accudire, sostituire, essere vicarie e lasciar spazio a tempo debito. Che dire ancora, vi consigliamo di andare al cinema…Nove lune e mezza!

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