martedì 13 dicembre 2016

L'inciampo del 13 dicembre


Oggi mi torna in mente un tredici dicembre di un po’ di anni fa. Dieci per l’esattezza. Avevo il privilegio di vivere nella città più bella del mondo e di avere gli anni in cui ogni sentiero pare in discesa. Come ogni mattina, svirgolavo veloce per via De Pretis, avvolta nel mio cappottino bianco alla francese e con gli occhi mezzi coperti dal basco di lana. Ero in ritardo. Come sempre. La qual cosa, però, non mi impediva di contemplare l’abete al centro di piazza del Viminale. Era maestoso, carico di brina mattutina ed elegante come quella porzione di città. Sarei rimasta ore a guardarlo, ma, da lì a mezzora, dovevo raggiungere via della Vittoria. A piedi non sarebbe stato facile, ma come perdersi lo spettacolo di via Sistina, delle Quattro fontane e del tripudio finale: la terrazza di Trinità dei Monti. Facevo quel tragitto ogni mattina ed era talmente bello, che, se solo fosse stato possibile, lo avrei prolungato a perditempo.

All’angolo con via Nazionale, però, inciampai ed andai a sbattere. Un colpo fermo contro qualcuno. Era un uomo alto, robusto, dentro un cappotto grande due volte lui. Feci per scusarmi senza attenzione, ma il tizio quasi mi prese per il bavero. A quel punto dovevo necessariamente mandarlo a quel paese e fare pure in fretta, perché il ritardo accumulato non poteva sorreggersi sulle solite scuse. Alzando lo sguardo, però, incrociai non due, ma ben quattro quattro occhi familiari. Nulla è più rassicurante del riconoscersi nella folla incolore di una metropoli. C’erano davanti a me un padre ed una figlia. A esser sincera la coppia più bella di padre e figlia che io abbia finora conosciuto. Chè è ovvio amarsi tra genitori e figli, ma essere complici, grondare rispetto reciproco e sintonia è un’altra cosa. Si trattava di due amici di sempre, due persone con le mie stesse origini, che ritrovavo per caso nella città eterna, nel giorno di santa Lucia. Furono sorrisi e abbracci e salti di gioia. Ed era tutto vero. Tutto sincero. Giuro. Non come la solita manfrina dei “gran sorrisi e gran saluti e non ci siamo mai piaciuti”. Entusiasti come dei ragazzini, ci infilammo in strade e stradine, tra negozi e bottegucce, sommersi dall’aria di Natale, che nell’Eterna non risparmia nessuno. Decisi, per quella volta, di non fare il mio dovere quotidiano e disertai una lezione. Che le regole servono anche per essere infrante. Ne valse la pena. A ora di pranzo scegliemmo un ristorante di via del Boschetto. Il rione Monti, con la sua aria d’altri tempi, ci incorniciava. A quel punto, il papà della mia amica intimò. “Ma oggi è santa Lucia, ci l’hammu a guardari”. E infatti ordinammo solo riso. I siciliani lo sanno che nel giorno in cui si venera la vergine e martire siracusana, che salvò l’isola dalla carestia, sarebbe “peccato mortale” mangiare pasta, pane e bella compagnia. Solo riso e grano cotto, la cuccìa, ma lontani dall’Isola dove trovarla? Ci accontentammo di risotto ai carciofi e patate al rosmarino.

Quella giornata fu talmente bella che la ricordo a memoria. La lunga passeggiata per quel centro città, che pare non avere né inizio e manco fine. Con la mia amica ci fingemmo riccone (e ovviamente non ci credette nessuno) nei negozi di via Frattina e dei Condotti. Incontrammo un nostro compaesano pervenù, che ci squadrò dall’alto al basso e ci disse: ragazze, stasera ci vediamo in giro, mi raccomando! Esplorammo il ghetto ebraico e il dedalo di vicoli intorno a piazza Navona. Andammo da Castroni ad annusare caffè da tutto il mondo e scrutare spezie dai nomi impronunciabili. Ci incantammo a vedere il tramonto da Trinità e quindi ritornammo verso l’Equilino, dove in un mercatino dell’usato ci regalammo a vicenda uno spillone alla moda di una volta. La mia amica, che oltre ad esser bella ha anche una classe singolare, mi sistemò addosso una pashmina di pochi euro manco fosse un tessuto di gran pregio. Poi calò il sole e su un lettone d’albergo di via Milano ci confidammo tutto il confidabile ed anche di più. Sorridemmo tanto ed è forse per questo che di quel giorno ricordo ogni contrappunto. ‘Chè le persone che ti fanno sorridere di cuore sono preziose e non bisogne perderle di vista mai.

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