mercoledì 1 novembre 2017

Il piatto dei morti e la felicità del due novembre




La festa dei morti, quando ero bambina, era la mia preferita. Lo era ancor più del Natale, che già allora mi metteva addosso un pezzetto di malinconia.

Quello per “chi è partito”, in Sicilia, è un culto buono, consolatorio, che profuma di storie antiche, di frutta Martorana, di zucchero sparso nell’aria, di foto antiche, di stupore di bimbi al risveglio del grande giorno. Perché il 2 novembre è (almeno un tempo lo era) un grande giorno. Nella notte tra Ognissanti e il 2 novembre, chi ha lasciato il sipario della vita, torna a calcare la scena. Lo fa per una notte appena, con la condizione di procedere in punta di piedi, di accennare qualcosa sottovoce e di spargere doni ai piccini, senza l’infertile condizione che questi siano stati buoni. Così almeno mi hanno insegnato da piccola. Fortuna che alcune delle cose, che impari nell'età più bella, le installi nello scaffale delle verità e lì restano per sempre.