sabato 21 febbraio 2015

Aldo e quel bambino dello Zen che un giorno buttò a mare un passeggino pieno





Quando penso allo Zen mi viene in mente puntuale un' immagine. Io che tento di andare al mare alla riserva di Capo Gallo e un gruppo di bambini che mi si lanciano incontro: sono confusi, devono cacciarsi via da una brutta situazione e vogliono il mio aiuto. E' ottobre, la spiaggia è quasi deserta e in giro ci siamo solo io e una coppia di stranieri. Uno dei ragazzini, uno scricciolo di una decina d'anni, ossuto dalla testa ai piedi, ha combinato una bravata e sotto il suo tiro è finita la coppia di turisti, che presto capirò essere francesi. Così, per gioco, il ragazzetto ha lanciato in mare un passeggino con tanto di porta enfant poggiato sopra. "Era per gioco", urlavano i bambini. E i francesi, con un italiano tanto stentato quanto incazzato: "Lì dentro ci poteva essere il nostro bambino. Lì dentro ci poteva essere il nostro bambino!". I francesi che, si sa, non la mandano a dire, chiamano per direttissima la volante della polizia. L'artefice del danno mi si lancio al collo, supplicandomi di mediare. Nel frattempo il resto della combriccola - che lì per lì m'era parsa coesa così come lo sono i clan dell'infanzia -  si dilegua. Il piccolo birbante resta solo e sospeso: da una parte ci sono io che me lo ritrovo tra le braccia senza sapere come si tiene in braccio un bambino e dall'altro quei due francesi e il loro piccolo. E loro blaterano, tramutando il dolce alfabeto d'oc e d'oil in un lungo rotolo di durezze. Il bimbo teppista, tra il ritmo delle lacrime e quello del cuoricino, mi implora: "Io sono dello Zen, ho mio padre e mio fratello in carcere. Che mi ci portano pure a me? Signora mi porti via prima che arrivino quelli. Mi dia un passaggio, la prego, mi porti via. Mi porti via". In quell'istante mi sentii vile ed inadeguata e desiderai di non essere in quel posto. Non avevo metodi o parole per mediare tra quel bimbetto con un dna sbagliato e quella coppia di francesi motivatamente infuriata. Passò poco e arrivò la volante della polizia. Ci pensarono loro a mediare con i francesi, che giurano su tutti gli dei che mai più sarebbero tornati in Sicilia, men che meno a Palermo. La notizia della barbara morte di Aldo Naro, non so per quale motivo, mi ha fatto ricordare quella strana giornata al mare di un paio di anni fa. Ho ricordato quei "delinquenti in erba", che mi sfilavano davanti con delle facce, che siglavano il compromesso tra l'innocenza e il suo opposto. Uno aveva una brutta cicatrice al centro del mento, pareva una farfalla sbiadita, la sola femminuccia del clan aveva degli occhi così oscuri e privi del lampo dell'infanzia, che quasi non riuscivo a sostenerne lo sguardo. Ricordo anche il moto di materna tenerezza che mi prese quando, il reo confesso mi si lanciò al collo, improvvisando un amore, che faceva traspirare paura, ma su tutto quella genuinità che è l'equatore dell'esser bambini. In quell'istante, solo allora, quel piccolo mi sembrò bello, con la sua pelle scura e senza carne e con quegli occhi dal taglio perfetto. Mi prese la tentazione di fare come nei film, di portarlo via chissà dove e di salvarlo da non so cosa. Fu un attimo, uno solo, perché i film, quelli a lieto fine in particolare, si sa, sono la più deformata proiezione della realtà.  Si sa anche che il coraggio di noi miseri umani quasi mai ci rende eroi, ma ci è solo sufficiente a sopportare le nostre sfide individuali. E oggi penso ad Aldo, che si era lasciato adottare dalla Palermo bene, perchè lui da una famiglia bene di Caltanissetta proveniva da generazioni. Penso a quel privè affittato per un elite di amici, per festeggiare il carnevale come si conviene, nella discoteca più in della città, che guarda caso, però, si trova nel "postaccio" di Palermo. Penso alla lite sciocca, per un cappello, un bicchiere di troppo, la voglia di attaccar garbugli, che è nel genoma dei ragazzacci dello Zen. E penso ad Aldo che si è ritrovato in mezzo, che secondo alcuni non ha voluto soprassedere alla provocazione, secondo altri stava solo sedando gli animi, secondo altri ancora era in mezzo alla ressa e basta. E poi penso a questo diciassettenne, l'assassino, ammesso che sia l'assassino. Dicono sia alto manco un metro e settanta, che avrebbe la corporatura esile e che, ciononostante - da sue dichiarazioni - al Goa facesse il buttafuori a nero. Il reo confesso è minorenne, incensurato, figlio di incensurati nati e cresciuti nel quartiere della malavita. Il giovane, che proclama la grave colpa, fa testimonianze lunghe, confuse, lascia presagire la solita storia dell'omicidio preterintenzionale. Avrebbe colpito non per ammazzarre. Era tutto un dai dai in quella ressa, almeno così avrebbe detto agli inquirenti. Ma in quella bagarre di alcol, maschere, ragazzi dabbene e ragazzacci dello Zen (che odiano i ragazzi dabbene, perchè per loro sono l'icona dell'inarrivabile) non c'era solo il diciassettenne. Erano in tanti. Si dice ci fosse anche il figlio di un noto boss del quartiere. Un quartiere che per quarantotto ore è stato messo a soqquadro dagli inquirenti, che hanno bloccato in toto i trafficacci quotidiani dello Zen. Niente spaccio di droga, niente microdelinquenza, quindi niente "lavoro" allo Zen, finchè, privo di altra scelta, non ha fatto capolino il diciassettenne, già segnalato da alcune persone del posto. Che il capitolo sia chiuso? Tra le voci che contano, c'è chi ha seri dubbi. Che il minorenne stia coprendo un pesce grosso? Che sia stato mandato in avanscoperta, nella speranza di un iter procedurale soft, vista l'età e la fedina penale immacolata del giovane? Al momento, la certezza è una sola: Aldo aveva venticinque anni, era medico da poco e voleva diventare cardiologo. E' morto allo Zen nel sabato di Carnevale. E' morto nel quartiere dove i bambini, dimenticano l'innocenza in frettà, chè da quelle parti l'innocenza è roba per "babbi". Ed è così che, per gioco, certi bambini dello Zen buttano giù dagli scogli passeggini pesanti e poco importa se dentro vi siano o meno neonati, tanto "è stato solo per gioco".