sabato 29 novembre 2014

Momenti di trascurabile felicità


Parafrasando un libello, letto e apprezzato qualche tempo fa, mi va di ricordarne qualcuno, tra quei momenti in cui la felicità mi si presenta davanti e magari io, lì per lì, non me ne accorgo neppure, salvo poi ripensarvi e sentire il cuore al caldo.

1) I falò dell'Immacolata a Casteltermini. Io piccolissima nel mio montogomery rosso e mio padre a stringermi forte la mano. La vampa a baglio Salinari. Io che un po' ho paura e un po' sono felice, perchè tanto ci sono mio padre e la Madonnina a proteggermi.
2)L'odore delle librerie, la consistenza dei libri tra le mani, la magia di un incipit, la consapevolezza che ogni volta che leggo mi sento migliore.
3) Le estati alle Serre, con nonno Raffaele che suona la chitarra e poi prepara patate arrosto.
4) Il giardino di mia nonna Stella, perfetto nel suo essere minuscolo e amato come poche altre cose al mondo.
4) Io e mia madre nel lettore a Messina. Le favole, le ninne nanna e i miei sonni tranquilli di allora.
5) Il rumore della macchina di mio padre, quando nel fine settimana veniva a trovarci a Messina. Intuiivo il suo ritorno dal suo fischiettare lungo le scale una vecchia canzone di Amedeo Minghi. In quel momento ero esattamente felice.
6) Le tante pagine che mi ha letto mia nonna Tatà.
7) Quando con mia zia Grazia abbiamo dormito mano nella mano e io ho imparato a non avere più paura del buio.
8) Quella volta che mia nonna mi insegnò a fare una sciarpa con i ferri, le "gugliole". Conservo ancora quel manufatto "sgarruppato". Per me è un tesoro.
9) Una telefonata, tanti anni fa, del caro e compianto prof. Biagio Milano.
10) La dolcezza della maestra Pina Antonuccia. Fu la prima a credere in me.
11) Quando i miei cani capiscono le mie tristezze, le accettano, non le giudicano e mi leccano dalla testa ai piedi.
12) Le luminarie natalizie a Roma, io e la mia amica Victoria che ci incantiamo fino alle lacrime. Sole e sperdute in una città senza fine, quel giorno ci sentimmo felici come nessuno.
13) Il giorno della mia laurea, dall'inizio alla fine.
14) Il 29 settembre, quando conobbi Ale e quello, sarà stato un caso o forse no, è stato il giorno più pieno di sole della mia vita.
15) Quando scrivo una storia e vi butto dentro il cuore.
16) L'aereo dopo che è atterrato.
17) Io che apro la busta con l'esito di un esame medico e mi sento baciata in fronte dal Padreterno.
18) Il mio nono compleanno.
19) Quel Natale di tanti anni fa, con nonno Raffaele e nonna Stella a far festa a sant'Anna. Sulla tavola cardi fritti, salsicce e vino fatto in casa. Fu il mio Natale più bello.
20) Una breve vacanza a Catania con mia madre. Tiravamo avanti fino all'alba e sembravamo entrambe due adolescenti.
21) Le chiacchierate a viso aperto con le mie poche amiche.
22) Ascoltare la colonna sonora di Nuovo Cinema Paradiso.
23) Mangiare due kebab di seguito senza pensare al reflusso esofageo.
24) Bighellonare da sola per le strade di Palermo, con il naso all'insù a cercare tesori, che in molti non vedono più.
25) Visitare il Pantheon a Roma.
26) I posti "alti", dalle Serre alle Dolomiti.
27) Leggere biografie di grandi uomini e di grandi donne.
28) Quando incontro qualcuno con cui non è necessaria alcuna posa.
29) Un buon bicchiere di "Vrucara".
30) Quando mi passa il mal di denti.
31) Quando Dafne si accoccola sulla mia pancia (e mi schiaccia, ma la felicità è più grande dell'ingombro).
32) Rivedere "Innamorato pazzo" con Celentano e la Muti.
33) La canzone "Sarà per te" di Francesco Nuti ed il film "Tutta colpa del paradiso" sempre di Francesco Nuti.
34) Trovare cento euro in un vecchio cappotto
35) Abbracciare mia sorella
36) Completare il mio romanzo
37) Credere fermamente che un giorno finirà in libreria!

mercoledì 26 novembre 2014

Mi piace chiamarla Luce


Mi piace chiamarla Luce quella bimba minuscola, morta ancor prima che le fosse concesso il diritto di vivere. Mi piace chiamarla Luce perchè vorrei che la sua storia illuminasse la mia e tante altre coscienze. Quelle di chi dice che c'è una spiegazione a tutto, anche a una madre che partorisce un figlio in fretta e furia e con le viscere che stanno per uscirle dal corpo, trova la forza di infagottarlo dentro un borsone e di lanciarlo alla cieca in un cassonetto della spazzatura. E' confusa? Crede che al suo bimbo non batta il cuore e d'impeto la prima cosa che gli viene passa per la testa è la fuga dalla vita, dentro gli scarti della vita altrui? Ma dico io, se a un bimbo, al tuo bambino, non batte il cuore, tu prendi e lo butti nell'immondizia?
No, a questa triste storia, mi spiace, non c'è spiegazione. E non ci saranno psichiatri, assistenti sociali e sociologi (semmai se ne scomoderà qualcuno), che potranno convincermmi del contrario.
Non ho figli, vorrei averne un giorno. Non so capire quale sia il sentimento viscerale che lega una madre alla creatura che ha generato. Mi sforzo di immaginarlo e mi faccio aiutare dai sentimenti profondi ,che nutro per chi con me condivide la vita. Esistono forze immense che si muovono dentro di noi, che ci spingono a urlare ma solo dentro la nostra anima e a fare silenzio intorno, che ci rendono forti anche quando tutto intorno è di  cartapesta, che ci illuminano in certe boscaglie dell'esistenza. Mi chiedo e mi chiedo ancora perchè, questa donna, non abbia voluto attingere a quel barlume di forza che ti viene incontro, quando il resto del mondo cede? Io chi sono per giudicare, ammesso che si possa, in un tale dolore, ardire un giudizio? Sono una donna che ha sentito parecchio storie di donne che pur di avere un figlio avrebbe girato il mondo a piedi scalzi. E' una piccola verità, ma è comune a tante di noi.
Se solo sua madre avesse avuto coraggio, e di questo si tratta, Luce sarebbe ancora qui e potrebbe avere quell'opportunità che non si nega, una volta che il cuore ha preso la rincorsa e gli occhi si sono avvicinati alla vita. Ma la viltà è un male grosso, uno dei peggiori che l'umanità possa contare. Luce non la conoscerà mai, perchè laddove si trova, e lo spero con tutta me stessa, tutto sia perfezione e incanto, così come lei merita.

martedì 25 novembre 2014

L'uomo cattivo...





Ricomincio con un blog oggi, 25 novembre, giornata nazionale contro la violenza alle donne. Ho sempre ritenuto le "giornate nazionali" come momenti celebrativi, dove a farla da padrona sono la retorica degli oratori e il moralismo di chi ascolta. Oggi però, che ho 34 primavere e che, grazie al mio mestiere e agli incontri della vita, ho ascoltato testimonianze e percepito quanto minuscola possa farsi una donna di fronte al proprio usurpatore, ho pensato di scrivere un mio pensiero tra le righe di questa giornata. Volevo condividere con voi una storia vera, che anni fa mi raccontò una ragazza coraggiosa. Me ne parlò con il cuore e con la pancia e mi autorizzò a scriverne su Livesicilia. Si intitolà "L'uomo cattivo della dolce Inès". Buona lettura
Maristella



L’uomo cattivo, l’uomo cattivo!”.
 Inès si era svegliata calda e ansimante, mentre metteva in fila indiana quelle due parole, che Stefano non riusciva a comprendere.
 Si era raggomitolata dall’altro lato del letto, raggirando le spiegazioni: 
”E’ stato solo un brutto sogno”, aveva risposto alla domanda assonnata del suo compagno.
 Non riuscendo a prendere sonno, insieme alle palpebre, aveva riaperto uno scrigno di pensieri, che pensava di avere seppellito per sempre. E’ disarmante la capacità, che hanno certi dolori, di riemergere in superficie proprio quando hai certificato l’illusione di averli espulsi per sempre dall’anima.
 L’uomo cattivo era tornato ed era tale e quale all’ultima volta che si erano incontrati. Con il suo odore acre di Marlboro, camuffato con il dopobarba alla mirra, con i suoi capelli sudati e lunghi, con le mani minuscole e quelle unghia curate, quasi fossero quelle di una donna. Inès aveva tuffato il viso nella federa del cuscino, sperando di respirare l’odore rassicurante di Stefano. Aveva ritrovato, invece, l’alito dell’uomo cattivo. Il profumo dolciastro del suo petto. Lo spessore fuligginoso della sua pelle. Collezioni di lacrime le ripulivano il volto, così come era successo un po’ di anni prima. Inès le ingoiava una a una, masticando i ricordi e quella ferita, che aveva diviso, in due esatte metà, la sua anima ancora innocente.
“Inès sei bellissima, la donna più bella che abbia mai visto”. L’aveva sorpresa così l’uomo cattivo, in una sera qualunque, dentro un locale carico di gente e di luci al neon. 
Un brivido di piacere e di imbarazzo aveva attraversato la lunghezza del corpo di Inès. Tremante aveva balbettato un suono infantile e aveva immediatamente abbassato gli occhi. Nei suoi vent’anni, trascorsi da poco, Inès aveva solo intravisto briciole di affetto, caste dimostrazioni di un amore neonato, che le aveva insegnato quel fidanzatino, di cui non si era mai riuscita a innamorare.
 L’uomo cattivo odorava di un mondo che Inès non conosceva, che un po’ la affascinava e un po’ la impauriva, facendole ripensare a quei quei tanti “stai attenta” che si dicono ai bambini.
L’uomo cattivo aveva deciso per entrambi fin dal primo momento.
 Calcolava la consistenza degli sguardi di Inès e le infliggeva raffiche di sorrisi, che facevano galoppare il suo cuore da ragazzina. A ogni sguardo di quell’uomo, lei si sentiva togliere la pelle di dosso. 
Inès era innocente per comprendere la differenza tra il vero bene e il troppo male, che le gironzolava intorno.
Era abituata a scrivere il suo diario, a vedere le commedie romantiche al cinema con papà e ad andare al mare con le amiche dentro un bus strapieno di turisti stranieri.
Il resto era un sogno ancora da fare, nel quale lei, quasi quotidianamente, infilava le sue speranze e quel desiderio di volare lontano. 
Poi un giorno l’uomo cattivo l’aveva convinta: “andiamo a prendere un caffè, un gelato o una pizza?”. 
Lei si era fatta bella, come mai prima di quel momento, anche se dentro la pancia le brontolava il presagio di fare una cosa proibita, brutta, sporca.
 L’uomo cattivo l’aveva trattata come la regina del reame più bello che l’umanità potesse immaginare.
Così il giorno dopo e quello dopo ancora.
Fino a quel sabato di agosto, sotto un cielo che distribuiva, distratto, afa e pioggia. 
Con la sua macchina, che sembrava un aeroplano, l’uomo cattivo aveva cambiato direzione.
Si era infilato in una stradina, dove le case parevano tutte abitate da morti.
Da lì era entrato in un cancello scuro e incrostato.
“Non avere paura, siamo a casa mia”.
“Voglio tornare al mare”. 
“Scendi su, vediamo un film insieme”. “Voglio andare a casa”. 
“Ti ho detto scendi”.
 “Ti prego, voglio andare a casa mia”. 
“Cretina scendi o ti faccio scendere io”.
 Inès piangeva e avrebbe urlato, se solo la paura che l’uomo cattivo le facesse tutto il male del mondo, non le avesse strozzato la voce in gola. 
“Puttanella sali su”. 
In quelle stanze senza luce, dentro quella stradina piena di fantasmi, Inès aveva lasciato per sempre un pezzo della sua anima. 
La stessa che, per anni, era tornata a svegliarla la notte. Le si appoggiava dentro un orecchio e le sussurrava un grido di dolore sottile, ma persistente.
“Vieni a liberarmi Inès, vieni. In questa stanza c’è buio e io potrei soffocare”. 
Da lì tornava l’uomo cattivo, con la camminata incerta, ma baldanzosa di chi deve, per forza, dimostrare qualcosa, prima a sè stesso e poi al resto dei viventi.
Con il suo solito ghigno si avvicinava a Inès e le sfiorava il collo con i capelli umidi, quindi con le mani viscide disegnava la mappa del suo corpo da ragazzina. A quel punto Inès si svegliava di botto, tra il sollievo del pericolo scampato e lo sgomento di chi sente l’anima prigioniera.
 L’ultima volta che aveva visto l’uomo cattivo era stato in ospedale, poco tempo dopo quel sabato afoso. Un dolore lancinante allo stomaco le aveva fatto credere di morire. Disperata gli aveva inviato un sms, più per farlo sentire in colpa, che per chiamare all’appello la sua pietà.
 Lui si era precipitato:
 “E’ solo una colica. Meno male, pensavo me l’avessi combinata, occhi di angelo. Good bye, buona vita”.
 Inès lo aveva visto uscire dalla corsia e insieme a lui aveva visto andare via una nuvola gonfia di cattiverie tutte ancora da fare. Quell’uomo si era divertito a giocare a calcio con il suo cuore buono. Lei non lo avrebbe mai perdonato. Gli aveva lanciato addosso una raffica di maledizioni mute, per poi voltare, definitivamente, lo sguardo dall’altra parte.
Da allora la vita di Inès è ripresa, a volte singhiozzante, altre simile allo scatto di certi scalatori di una volta. Sono passati settimane, mesi, anni. Inès ha imparato di nuovo a sorridere, è tornata scrivere il suo diario, a vedere le commedie romantiche insieme con il suo papà, ma soprattutto ha preso per mano un amore, che ha tutta l’aria di volere diventare grande.
C’è sempre, però, quel pezzo di anima, priogioniera tra i fantasmi di quella casa, che forse qualcuno ha distrutto. L’anima può addormentarsi per anni, ma quando si sveglia fa il rumore più grande che gli uomini conoscano. Inès lo sa bene e ogni giorno sceglie di addomesticarla, mentre la vita le accarezza le spalle. (fonte www.livesicilia.it)